Accademia "Marsilio Ficino"
Istituto "Marsilio Ficino"
24 Gennaio 2015
Cos’è la politica?
di Riccardo Nocentini
dottore in Filosofia, già Sindaco di Figline Valdarno
Introduzione
Prima di tutto voglio ringraziare l’Istituto Marsilio Ficino, il dirigente scolastico Don Enrico Maria Vannoni, tutti gli insegnanti e il prof. Giovanni Meucci per l’invito a questo incontro con voi studenti. È sempre un piacere confrontarsi con i giovani e cercare di trasmettere qualche esperienza o conoscenza che possa essere utile. È un piacere prima di tutto per me.
Mi sono laureato in Scienze Politiche e in Filosofia Politica, questa seconda laurea l’ho conseguita nel luglio del 2014 con una tesi dal titolo “Politica, etica e burocrazia in Max Weber” e, a partire proprio dalla tesi, vi vorrei parlare di “Cos’è la politica”.
Una tesi in filosofia politica per chi, come me, ha dedicato una parte importante della propria vita in maniera esclusiva al governo della polis, prima come segretario di partito e poi due volte come sindaco, ha un significato profondo. Significa entrare dentro me stesso alla ricerca di quel senso che mi ha permesso di tenere il timone tra le belle soddisfazioni del consenso, delle realizzazioni e della visibilità, che rischiano sempre di sfociare in vanità, e le avversità continue dei cambiamenti di onda, dei rischi, delle responsabilità, del lavoro che non può sentire la fatica e non può andare in vacanza, fino a farti perdere la consapevolezza che prima che un politico sei una persona. Vanità e alienazione: queste sono le polarità tra le quali oscilla l’uomo politico.
La tesi è stata, per me, anche il tentativo di ricomporre i tanti frammenti che comprendono fatti, sentimenti, situazioni, obiettivi, relazioni, valori; è stata la ricerca di quel filo rosso che li tiene insieme e che forse può dare una coerenza alla mia esperienza politica come a ogni esperienza politica.
Prima vorrei fare un passo indietro e delimitare il campo di azione del ragionamento seguendo quello che scriveva Norberto Bobbio, uno dei maggiori filosofi italiani del dopoguerra, in un suo testo ormai diventato un classico per chi voglia capire la politica: “Stato, governo, società” (Einaudi 1985).
Mentre la scienza politica porta avanti una ricerca empirica che deve essere verificabile, avere una spiegazione causale (rapporto di causa e effetto) e si deve astenere da giudizi di valore per essere oggettiva e imparziale, la filosofia politica non rispetta queste condizioni perché si pone su un diverso piano, a mio parere, più generale ed anche più profondo.
La filosofia politica si può occupare della ricerca della migliore forma di governo, come fa Platone ne “La Repubblica”, del fondamento dello Stato e del potere politico, come fa Hobbes nel “Leviatano” (homo homini lupus, bellum omnium contra omnes, la natura degli uomini è il lupo e allo stato di natura si ha la guerra di tutti contro tutti, quindi c’è bisogno di un contratto tra gli uomini che deleghi al sovrano il governo in primo luogo della sicurezza di tutti), oppure dell’essenza della categoria del politico nel suo rapporto con l’etica, come fa Machiavelli che, per primo, parla di “autonomia del politico”; la politica ha delle regole diverse rispetto a quelle della morale.
La domanda che ci porremo oggi è: che cos’è la politica? La risposta non è semplice e, nel corso della storia, ha avuto diversi significati diversi. Nella Grecia classica la politica corrispondeva ad occuparsi della polis, della comunità politica che comprendeva tutto; con il Cristianesimo si distacca la sfera religiosa; dopo il medioevo si affranca anche l’ambito economico e con la nascita dell’ Stato moderno lo Stato si distingue dalla società civile, che ricomprende la sfera economica e quella ideologica, dei valori. Arriviamo fino al 68’ con la rivoluzione giovanile nella quale la sfera politica coinvolge anche la personalità, si diceva “il personale è politico”. Oggi probabilmente viviamo in un periodo nel quale il personale è tutto e si afferma sempre più la tecnica, probabilmente perché la costruzione di un senso collettivo sembra impossibile e la società è sempre più “liquida”, perché cambia continuamente, e virtuale, perché la comunità oggi è anche quella interattiva sulla rete.
Parleremo di una autore che molti di voi incontreranno nei prossimi studi universitari; Max Weber vissuto tra il 1864 e il 1920, tedesco, di famiglia borghese. Egli sentì forte il compito della nazione tedesca nel mondo, anche in relazione al periodo nel quale è vissuto. Weber è conosciuto come padre dell’individualismo sociologico, storico dell’economia e delle religioni per i suoi studi sull’etica protestante e lo sviluppo del capitalismo, scienziato politico per i suoi studi sulla burocrazia, sui partiti e sul governo. Oltre a questo Weber è stato anche un grande filosofo della politica che ha studiato il potere e le sue forme di legittimazione sulla base della tradizione, della legge o del carisma, ma più di questo ci interessa oggi quello che Weber, seguendo le orme di Machiavelli, ha scritto su cosa sia la politica e il rapporto che questa ha con la morale. Le questioni che pone più o meno un secolo fa sono ancora lì, talmente concrete che abbiamo la sensazione di toccarle. Le sue riflessioni rimangono dirimenti al di là dello scorrere del tempo.
La politica come “lotta” per il potere
«Che cosa intendiamo per politica? Il concetto è estremamente ampio e comprende ogni genere di attività direttiva autonoma.[…] Con il termine «politica» intendiamo piuttosto riferirci soltanto alla direzione o all’influenza esercitata sulla direzione di un gruppo politico, vale a dire - oggi - di uno Stato» (Pol. 47).
Weber in Politica come professione1lega l’analisi della politica contemporanea al rapporto con lo Stato. La politica è la capacità di «direzione» all’interno di un «gruppo politico», oggi, all’interno di uno Stato.
Nella ricostruzione dell’argomentazione weberiana sulla politica e sul potere non possiamo prescindere da ciò che egli intende per Stato, perché è dentro lo Stato che si svolge quell’attività direttiva e autonoma che ne costituisce elemento essenziale:
«[…] Dovremmo dire che lo Stato è quella comunità di uomini che, all’interno di un determinato territorio - un elemento, questo del territorio che è tra le sue componenti caratteristiche -, pretende per sé (con successo) il monopolio dell’uso legittimo della forza fisica» (Pol. 48).
L’elemento determinante della definizione weberiana di Stato non è la finalità, ma il mezzo: il «monopolio dell’uso legittimo della forza fisica». Quello che caratterizza il «potere politico» non è dunque il fine, ma il mezzo: la coercizione fisica legittima. Anche se il ricorso alla forza fisica è l’ultima ratio.
Il potere politico si caratterizza per il suo specifico mezzo (la forza legittima) e, se andiamo in profondità, la politica nella sua essenza è «lotta»: una «lotta» per la conquista del potere. È «un’aspirazione a partecipare al potere, o a esercitare una qualche influenza sulla distribuzione del potere, sia tra gli Stati, sia all’interno di uno Stato, tra i gruppi di uomini che esso comprende entro i suoi confini» (Pol. 49). La politica è una lotta per il potere, questo è il concetto più noto del realismo politico weberiano, ma è una visione parziale.
Vivere “di” politica e vivere “per” la politica
Sarebbe sbagliato pensare a Weber come a un filosofo che concepisce la politica solo come potere per il potere, il cui esercizio richiede uno Stato che amministra attraverso l’esclusivo mezzo della forza legittima.
Politica significa anche seguire una causa che ci porta a voler cambiare il mondo. La politica è, per il vero uomo politico, una vocazione (Beruf) alla quale dedicare in maniera completa la propria vita. In Politica come professione Weber si preoccupa di definire quali caratteristiche debba avere la politica per poter costituire un Beruf.
Se vogliamo andare più a fondo ci dobbiamo domandare quali siano le motivazioni soggettive che risiedono dentro la coscienza di chi fa politica e che costituiscono la molla per affrontare con pazienza e dedizione situazioni complesse e difficili. Nel governo della cosa pubblica, infatti, ci imbattiamo nell’irrisolvibile contraddizione tra una quantità infinita di problemi che vengono posti e una possibilità finita di risposte legate ai mezzi a disposizione, sempre scarsi. Sembra una «lotta» persa in partenza, quali sono, allora, le motivazioni?
«Chi fa politica aspira al potere, o come mezzo al servizio di altri fini - ideali o egoistici - o, «per il potere in se stesso», per godere del senso di prestigio che esso procura» (Pol. 49).
La politica nella sua essenza è «lotta» e chi la esercita, per Weber, ricerca il potere. Il potere può essere ricercato come un fine in sé, il potere per il potere, che genera prestigio e quindi vanità. È un mezzo al servizio di diverse finalità, egoistiche oppure legate alla propria vocazione, al proprio Beruf.
La politica diventa una professione quando è un’attività continuativa che riguarda tutta la vita e insieme un atteggiamento interiore che può seguire due diverse motivazioni, può essere legata a una causa, oppure può essere un modo come un altro per guadagnarsi da vivere. In Politica come professione Weber distingue due modi di rendere la politica una professione: vivere «per» la politica oppure «di» politica. Anche in Parlamento e governo, forse in maniera più chiara, Weber distingue i politici di professione che vivono «di» politica da quelli che vivono «per» la politica:
«Il politico di professione può essere un uomo che vive unicamente della politica e dei suoi meccanismi, delle sue influenze e possibilità. Oppure può essere un uomo che vive per la politica. Soltanto in quest’ultimo caso può diventare un politico di grande livello» (Parl. 71)2.
Vi propongo di riflettere su due esempi di causa: la nazione e l’unione europea,
Pensiamo a quella idea culturale di nazione che respiriamo camminando nella chiesa di Santa Croce a Firenze, ricordando i versi sublimi del Focolo nel carme “Dei sepolcri”. La “corrispondenza di amorosi sensi” con le urne, ma potremmo dire, diversamente ma con lo stesso significato, con lo spirito di quei “forti” che in ogni ambito hanno dato un contributo universale al miglioramento dell'uomo, ci rende grandi e ci fa capire chi siamo, non solo come individui, ma prima di tutto come popolo. Machiavelli che ha svelato “di che lagrime grondi e di che sangue” il potere, e può essere considerato il fondatore della scienza politica; Michelangelo che dipingendo la Cappella Sistina un “nuovo Olimpo alzò in Roma a' Celesti” ed é diventato la sintesi più alta dell'arte del rinascimento cinquecentesco; Galileo che ha cambiato il paradigma della scienza moderna perché “vide sotto l' etereo padiglion rotarsi più mondi, e il Sole irradiarli immoto”; Dante il “ghibellin fuggiasco” e Petrarca “dolce di Calliope labbro” che da Firenze donarono la nuova lingua per il popolo italiano.
Virtù civica, arte, scienza, poesia: questi sono gli elementi che compongono la nostra idea di nazione o di patria. È questa la causa che ha portato, nel 1859, Giuseppe Mazzini a scrivere “la patria è una missione, un dovere morale […] la patria è prima di tutto coscienza della patria”. Questo è il legame che tiene insieme la nostra storia culturale, i principi che hanno portato avanti i padri del Risorgimento durante le lotte per l’indipendenza nazionale e che poi, dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, sono entrati nella nostra Costituzione come valori di giustizia e libertà.
Anche l’Europa unita è una causa per portare avanti una grande politica. Viviamo in un tempo nel quale la crisi economica europea è aggravata dalla debolezza delle istituzioni politiche europee che hanno dimenticato lo spirito originario. L’Europa è ancora prima che un’opportunità di sviluppo economico, una idea morale che parte dalla Grecia classica, arriva all’Impero romano, si contamina con la cultura e i valori del Cristianesimo fino alla Riforma Protestante e successivamente agli ideali di Uguaglianza Fratellanza e Libertà della rivoluzione francese. A partire da questo nasce l’idea romantica di nazione nell’ottocento che, pur con tutte le contraddizioni e le lotte per il potere nelle due guerre mondiali, rappresenta un passaggio necessario verso la crisi dello stato nazione e la nascita nella coscienza di quella tendenza evolutiva profonda della storia contemporanea anticipata già nel 41’, dal confino nell’isola di Ventotene, nel Manifesto, scritto da Altiero Spinelli e Ernesto Rossi: l’idea degli Stati uniti d’Europa. L’Europa ci ha permesso di vivere in pace e uniti, è un valore, una causa.
Le qualità dell’uomo politico
Dunque la politica per Weber non è soltanto «lotta» per il potere, è anche il terreno sul quale si affermano i valori più alti, e i veri politici sono mossi da una causa3 che seguono per una vocazione (Beruf) che sentono interiormente. Sono uomini politici che si elevano al di sopra della quotidianità e che devono avere tre qualità decisive: passione, senso di responsabilità, lungimiranza. La passione va intesa come dedizione ad una causa, è il motore che spinge avanti verso un orizzonte che deve essere raggiunto, è l’energia che muove il politico. Il senso di responsabilità è la capacità di portare avanti fino in fondo i propri impegni, è una forma di coerenza completa che può essere rivolta ai propri principi come alle conseguenze delle proprie azioni. Nel senso di responsabilità è presente quella coerenza che ci rende credibili agli altri, che rappresenta la forza dell’esempio, la dimostrazione che crediamo nella nostra causa. La lungimiranza è l’atteggiamento che ci permette di affrontare la realtà con calma e raccoglimento interiore, di realizzare il necessario «distacco» dalle cose e dagli uomini: la qualità che ci permette di vedere gli eventi da lontano.
Nel vero uomo politico devono coesistere queste qualità interiori così difficili da trovare e, ancor più, da tenere insieme. Ma ciò non basta perché esistono delle insidie terribili che accompagnano il politico in tutto il suo percorso. La prima insidia di cui Weber parla, fa pensare alla frase dell’Ecclesiaste«vanitas vanitatum et omnia vanitas», che significa: tutto è vanità, quindi niente ha valore. La tentazione contro la quale il politico deve combattere ogni giorno è la vanità, il peccato politico di porre se stessi davanti alla propria causa, il compiacersi della propria immagine anziché dei valori che si vogliono portare avanti. Anzi: è la trasformazione dei valori da sostanza ad apparenza. La vanità è ciò che porta alla patologia del narcisismo, ad innamorarsi dell’immagine di noi stessi. Da essa discendono gli altri due peccati mortali: la mancanza di una causa giustificatrice e la mancanza di responsabilità. Entrambi trovano la loro premessa nella vanità perché è proprio quest’ultima che trasforma la legittima e necessaria aspirazione al potere di un politico, in un oggetto di auto esaltazione che allontana il rapporto con la causa e insieme disperde la responsabilità che il giusto esercizio del potere richiede:
«Vi sono due tipi di peccato mortale sul terreno della politica: l’assenza di una causa e la mancanza di responsabilità. La vanità, vale a dire il bisogno di porre se stessi in primo piano nel modo più visibile possibile, induce l’uomo politico nella fortissima tentazione di commettere uno di questi due peccati. […] L’assenza di una causa lo porta ad aspirare alla luccicante apparenza del potere invece che al potere effettivo; la mancanza di responsabilità a godere del potere soltanto per il potere stesso, senza uno scopo concreto» (Pol. 103).
L’assenza di una causa e la mancanza di responsabilità rendono il potere non un mezzo per portare avanti una causa, ma qualcosa di fine a se stesso. Weber chiama quel tipo di uomo politico «politico della potenza», che rischia di operare «nel vuoto e nell’assurdo» perché perde il senso delle azioni umane. Weber, pensando probabilmente a Nietzsche, arriva ad affermare che l’assenza di una causa conduce alla perdita del «rapporto con la coscienza del tragico», cioè fa perdere il rapporto con la contraddittoria profondità dell’essere uomini. Il politico che perde il rapporto con la causa perde insieme il legame con gli altri. In questo senso il «politico della potenza», sopraffatto dalla sua vanità, diventa dis-umano.
«Il mero «politico della potenza» può esercitare una forte influenza, ma in effetti opera nel vuoto e nell’assurdo. Dall’improvviso crollo interiore di alcuni tipici rappresentanti di questo principio abbiamo potuto constatare quale intima debolezza si nasconda dietro questi gesti boriosi, ma del tutto vuoti. Esso è il prodotto di una indifferenza assai misera e superficiale di fronte al senso dell’agire umano, la quale non ha alcun tipo di rapporto con la coscienza del tragico a cui è intrecciato in verità ogni agire e in particolare l’agire politico» (Pol.103).
Se il rapporto con la causa è il timone del politico di professione, e, come abbiamo visto, proprio l’allontanamento dalla causa distoglie dalla giusta direzione l’uomo politico, allora, se vogliamo fare un passo successivo, dobbiamo entrare dentro la causa, arrivare fino alle sue ragioni etiche.
Politica e etica
Dobbiamo, però, indagare, come questa causa viene messa in contatto con il mondo e quali siano i mezzi che possono essere utilizzati per realizzarla. Entriamo così nel campo dell’etica e del suo rapporto con la politica. Weber non cerca di sviluppare una filosofia morale sistematica, ma mira a discutere e precisare le categorie concettuali che vengono sempre utilizzate quando si affrontano problemi morali.
Secondo Weber, in Politica come professione, ogni agire orientato in senso etico, può oscillare tra due massime radicalmente opposte e inconciliabili: può essere orientato secondo l’etica dell’intenzione o secondo l’etica della responsabilità.
L’etica dell’intenzione è un’etica assoluta (ad esempio quella del cristiano che opera nel giusto e rimette l’esito nelle mani di Dio), si preoccupa esclusivamente della coerenza tra comportamento individuale e valori, non si preoccupa né dei risultati né delle conseguenze nel mondo.
L’etica della responsabilità, invece, si preoccupa delle conseguenze delle nostre azioni, della coerenza tra valori ed effetti, si preoccupa dei risultati, delle conseguenze che ci possono essere sul mondo.
Questa distinzione potrebbe bastare se dal bene derivasse solo il bene e dal male soltanto il male, ma non è così, quindi si apre la questione dei “mezzi”: “nessuna etica può determinare quando e in quale misura lo scopo moralmente buono giustifichi i mezzi e le altre conseguenze moralmente pericolose”(Pol.110)4.
Per quanto riguarda l’etica dell’intenzione, il fine non giustifica mai i mezzi perché non ci sono fini. Ci devono essere soltanto i comportamenti giusti.
Secondo l’etica della responsabilità, va visto caso per caso secondo il principio del bene maggiore e del minor male (realismo politico di Weber diverso dalla politica di potenza).
Weber viene considerato prevalentemente il filosofo dell’etica della responsabilità, ma in realtà affida proprio alla figura del Grande Inquisitore – nella sua ambiguità – il compito di esibirne i limiti:
«Colui che agisce in base all’etica dei principi non tollera l’irrazionalità etica del mondo. Egli è «razionalista» cosmico-etico. Chi di voi conosce Dostoevskij ricorderà senz’altro l’episodio del Grande Inquisitore, dove il problema è trattato con grande precisione. Non è possibile mettere d’accordo l’etica dei principi e l’etica della responsabilità, oppure decretare eticamente quale fine debba giustificare quel determinato mezzo, quando si sia fatta in generale una qualche concessione a questo principio» (Pol. 111).
Il capitolo del romanzo “I fratelli Karamazov” racconta del Cristo che torna sulla terra durante l'inquisizione spagnola, viene creduto dalla gente e viene anche riconosciuto dal cardinale inquisitore che proprio per questo lo fa arrestare e lo vuole uccidere.
Il Grande Inquisitore porta al livello più alto e contraddittorio il rapporto tra etica della responsabilità ed etica dell’intenzione.
Per Weber il cardinale rappresenta l'incarnazione degli estremi ai quali può portare l'etica della responsabilità, tanto ci si può legare alla paura delle conseguenze, da adattarsi completamente alla realtà esistente e, in nome di questa, negare i nostri stessi principi. Il limite dell'etica della responsabilità é proprio quello di non riuscire a dire di no all'uso di certi mezzi in nome di valori assoluti. È questo che rende necessaria la complementarietà con l’etica dell’intenzione, solo il rifiuto di certi mezzi può cambiare il mondo.
Deve essere recuperata l’etica dell’intenzione per la forza della sua intransigenza, la tensione verso l’impossibile, questo permette di liberare l’etica della responsabilità dal male presente nell’utilizzo di certi mezzi.
Le due etiche da sole sono entrambe inadeguate, pertanto il vero uomo politico deve cercare di renderle complementari:
«l’etica dei principi e l’etica della responsabilità non costituiscono due poli assolutamente opposti, ma due elementi che si completano a vicenda e che soltanto insieme creano l’uomo autentico, quello che può avere la “vocazione per la politica”» (Pol.119).
Il politico deve preoccuparsi sempre delle conseguenze dei suoi atti, ma questo comportamento può diventare mero tatticismo nel quale si perdono di vista i fini ultimi, gli ideali, le cause che sono le scelte iniziali e fondamentali del capo. La politica non può, quindi essere fatta «con la testa soltanto», ma deve avere una dedizione alla causa alla quale il politico è «chiamato» come ad una missione. Quando però sia meglio usare l’etica dell’intenzione e quando quella della responsabilità, nessuno può determinarlo5.
La politica per Weber non è solo la ricerca del potere fine a se stesso e non è determinata dalla sola sfera economica: essa è anche il luogo dove gli uomini si elevano sopra i propri interessi personali per seguire i propri valori. Il politico è un uomo che ha una capacità di giudizio autonoma e persegue obiettivi secondo i propri valori. Gli scopi non sono dettati dalle pressioni esterne di vario tipo, ma dall’interno, dalle proprie convinzioni, dalla propria «vocazione»:
«La Politica consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà da compiersi con passione e discernimento al tempo stesso. È certo del tutto esatto, e confermato da ogni esperienza storica, che non si realizzerebbe ciò che è possibile se nel mondo non si aspirasse sempre all’impossibile. Soltanto chi è sicuro di non cedere anche se il mondo, considerato dal suo punto di vista, è troppo stupido o volgare per ciò che egli vuole offrirgli, soltanto chi è sicuro di poter dire di fronte a tutto questo: «non importa, andiamo avanti!» Soltanto quest’uomo ha la «vocazione» (Beruf) per la politica» (Pol. 121).
Il Beruf, la vocazione dell’uomo politico, è quella energia interiore che dà la forza di non mollare mai e lo rende consapevole, per citare Nietzsche, che «ciò che non ti uccide ti rafforza»; è la passione più forte di ogni delusione, quella che tiene insieme pazienza e ragionevolezza, ma che spinge anche oltre, verso la costruzione di nuovi orizzonti, verso «l’impossibile» per realizzare «il possibile».
La politica, quando si occupa della «verità effettuale della cosa»6, si muove nel molteplice, si apre sul mare aperto e la navigazione viene portata avanti con pazienza e impegno, guardando lontano, ma avendo a disposizione, per procedere, solo dei remi, e, molto spesso, con i venti contrari.
Se la politica che avete conosciuto è diversa da questo “dover essere”, ciò non deve far perdere la speranza, tanto più la realtà è lontana dall’ideale, tanto più l’ideale è necessario e proprio nello spazio tra “essere” e “dover essere” sta la libertà dell’uomo e la nostra chance di cambiare le cose, o almeno di provarci.
Appendice: La consapevolezza dell’uomo politico
In appendice al discorso di Weber possiamo cercare, partendo proprio dalla sua più terribile profezia, di integrarne e oltrepassarne il ragionamento.
Nell’ultima parte de L’etica protestante e lo spirito del capitalismo Weber riassume con una grande forza, insieme analitica e retorica, come la razionalità capitalistica si leghi inizialmente al fenomeno religioso e poi si sviluppi secondo una propria e autonoma strada che mette in pericolo la libertà dell’uomo. Weber arriva alla metafora più cruda e pungente della «gabbia d’acciaio» che potrebbe rendere gli uomini «specialisti senza spirito, edonisti senza cuore». Questi sono per Weber gli «ultimi uomini»:
«Quando l’ascesi passò dalle celle conventuali alla vita professionale e cominciò a dominare sull’eticità intra-mondana, contribuì, per parte sua, a edificare quel possente cosmo dell’ordine dell’economia moderna che oggi determina con una forza coattiva invincibile lo stile di vita di tutti gli individui che sono nati entro questo ingranaggio (non solo di coloro che svolgono direttamente un’attività economica) e forse continuerà a farlo finché non sia stato bruciato l’ultimo quintale di carbon fossile. Solo come un «leggero mantello che si potrebbe sempre deporre», la preoccupazione per i beni esteriori doveva avvolgere le spalle dei suoi santi, secondo l’opinione di Baxter. Ma il destino ha voluto che il mantello si trasformasse in una gabbia di durissimo acciaio.[…] Oggi il suo spirito è fuggito da questa gabbia - chissà se definitivamente? In ogni caso il capitalismo vittorioso non ha più bisogno di questo sostegno, da quando poggia su una base meccanica […] Nessuno sa ancora chi in futuro abiterà in quella gabbia, e se alla fine di tale sviluppo immane ci saranno profezie nuove o una possente rinascita di antichi pensieri o ideali, o se invece (qualora non accadesse nessuna delle due cose) avrà luogo una sorta di pietrificazione meccanizzata, adorna di una specie di importanza convulsamente, spasmodicamente autoattribuitasi. Poiché invero per gli «ultimi uomini» dello svolgimento di questa civiltà potrebbero diventare vere le parole: «Specialisti senza spirito, edonisti senza cuore: questo nulla si immagina di essere asceso a un grado di umanità non mai raggiunto» »(Etic. 239).
L’etica della responsabilità rischia di rimanere schiacciata e di rivelarsi un elemento che esprime determinismo, conservazione e semplice adattamento all’esistente. La spinta e la sfida, che proviene dalla coerenza rispetto ai valori, dell’etica dell’intenzione, è depotenziata perché nella tarda modernità la burocrazia ha imprigionato gli «ultimi uomini» in una «gabbia d’acciaio», come descritto nell’ultima parte de L’etica protestante e lo spirito del capitalismo.
Per uscire da questo dilemma etico può essere utile l’introduzione di un altro livello politico, non più quello della decisione, della scelta etica soggettiva, bensì l’elemento della conoscenza dell’uomo politico. Per superare i dilemmi etico-politici è necessaria la conoscenza dell’uomo politico.
Potremmo continuare il ragionamento utilizzando altri filosofi. Seguendo Croce in Politica in nuce, potremmo dire che la politica è principalmente scontro di forze di vario tipo: coercitive, ideali, materiali. Dal loro equilibrio emerge il consenso, quel rapporto di forze accettato e che costituisce un vero e proprio patto sociale effettivo7. La politica è quindi forza e consenso e, se si vuole proseguire il ragionamento di Croce con Gramsci, si potrebbe dire che i problemi etici si risolvono sul piano della consapevolezza politica, in quella ricerca di una «direzione intellettuale e morale» che è rapporto dinamico tra dominio e consenso e che lo stesso Gramsci definisce con il concetto di egemonia. Nelle Note sul Machiavelli sulla politica e sullo Stato moderno8 (Gramsci, 1996,) Gramsci parla in più momenti dell’egemonia come di un elemento della politica che presuppone un equilibrio di compromesso e che risulta da una dialettica tra Stato e società civile, tra forza e consenso, e che rappresenta, usando una metafora militare, non una «guerra di movimento», bensì una «guerra di posizione»9. L’egemonia è un elemento intermedio tra il conoscere e l’agire. La decisione, e quindi l’etica della responsabilità e l’etica dell’intenzione di Weber, vanno messe in relazione con la conoscenza e con l’azione.Si può uscire dai dilemmi etici solo attraverso la consapevolezza dell’uomo politico, dei rapporti reali di forza, ideali e materiali, in un determinato momento storico. Soltanto così gli «ultimi uomini» che credono di esistere nel migliore dei mondi possibili, vittime non solo della grande macchina del capitalismo, ma soprattutto della loro acquiescente autoillusione, potranno uscire dalla «gabbia d’acciaio» e riprendere in mano la loro vita.
Avvertenza
Nel corso dell’esposizione le opere di Max Weber sono indicate con le seguenti abbreviazioni:
Etic. = Weber M., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Rizzoli, Milano 1996.
Pol.= Weber M., La Politica come professione, Einaudi, Torino 2004.
Parl. = Weber M., Parlamento e governo, Laterza, Roma-Bari 1993.
Opere citate e consultate
N. BOBBIO, Stato, governo, società, Einaudi, Torino, 1995
B. CROCE, Etica e politica, Adelphi, Milano, 1994.
U. FOSCOLO, Poesie, BUR Rizzoli, Milano, 2007
A. GRAMSCI, Note sul Machiavelli sulla politica e sullo Stato moderno, Editori Riuniti, Roma, 1996, Quaderno 13.
N. MACHIAVELLI, Il Principe, Bur, Milano 1997
G. MAZZINI, Ai giovani d’Italia (1859); Scritti editi ed inediti
A. SPINELLI e E. ROSSI, Il manifesto di Ventotene, Oscar Mondadori, Milano, 2009
|